
La scoperta. Uno studio di esperti a livello nazionale conferma le conclusioni dei Medici per l’Ambiente.
di Arnaldo Bonanni
I timori di numerosi scienziati e virologi sembrano avere trovato una drammatica conferma. L’inquinamento atmosferico potrebbe rappresentare un ottimo terreno di coltura per il Coronavirus, favorendo così la sua diffusione. Infatti, i dati raccolti da un team di ricercatori e medici della Società Italiana di Medicina Ambientale dimostrano che esiste una stretta relazione tra il superamento dei limiti di Pm10 e il numero di infetti di Covid-19.
Nello studio epidemiologico curato dai dottori Leonardo Setti dell’Università di Bologna e Gianluigi De Gennaro dell’Università di Bari, sono stati esaminati i dati degli ultimi venti giorni tra il 10 e il 29 febbraio e quindi incrociati, da una parte, i numeri provenienti dalle centraline di rilevamento dell’Arpa, dall’altra i dati del contagio da Coronavirus riportati dalla Protezione Civile, aggiornati però al 3 marzo. La conclusione è che si nota un rapporto tra i superamenti dei limiti di Pm10 e Pm2,5 con i casi di Covid-19.
Secondo la ricerca, le Pm10 avrebbero svolto un’azione di “boost”, ovvero di impulso alla diffusione virulenta dell’epidemia. In proposito, Leonardo Setti ha dichiarato: “L’effetto è più evidente nelle provincie dove ci sono stati i primi focolai”. Questo il quadro del Nord Italia, dove purtroppo l’epidemia ha dilagato in varie regioni.

La dottoressa Teresa Petricca pneumologa e membro dell’Associazione Medici di Famiglia per l’Ambiente.
Ma quale potrebbe essere oggi la situazione nella nostra provincia, dove l’inquinamento da Pm10ha troppo spesso sforato i limiti nei grandi Comuni? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Teresa Petricca, pneumologa e membro dell’Associazione Medici di Famiglia per l’Ambiente di Frosinone. “Lo scorso 11 marzo – spiega la specialista – nella nostra Asl si contavano 21 contagiati, di cui 7 ricoverati nel reparto di Terapia Intensiva dell’Ospedale “Spaziani”, pari al 30% del totale. La media italiana, nello stesso giorno, era per i degenti in terapia intensiva rispetto ai positivi, del 10% circa. Evidente, quindi, la gravità del dato in Ciociaria. Un primato negativo che si somma a quello dell’inquinamento da polveri sottili, dalle quali il nuovo virus ricava anche un sostegno etio-patogenico”. L’intuizione dei medici di Famiglia, quindi, ha trovato conferma. Anche perché, come sottolinea la dottoressa Petricca, “è un dato di fatto che la patologia da Coronavirus ha finora interessato in Europa la Pianura Padana e in Cina la provincia di Hubei, con alta mortalità in entrambe le le regioni, che notoriamente presentano elevate concentrazioni di Pm10. La stessa condizione di inquinamento aereo che si ravvisa, da oltre 20 anni, anche in Ciociaria”. Dunque, esiste un probabile rapporto tra polveri sottili e infezione delle basse vie respiratorie, che può essere individuato nella attività infiammatoria e ossidativa delle polveri sottili. “E’ inconfutabile – prosegue la pneumologa – che qualsiasi lesione flogistica continuativa nel tempo, determini a carico della mucosa, delle vie respiratorie una condizione di iperattività bronchiale, creando una soppressione dell’immunità d’organo che, a sua volta, rafforza l’impianto di virus e batteri, fino a provocare una insufficienza respiratoria acuta. Anche il Covid-19 si avvale dei meccanismi di altri virus respiratori per causare la la polmonite interstiziale”. Inoltre, sottolinea la specialista dei Medici di Famiglia per l’Ambiente, “la predilezione del Coronavirus per i gravi quadri clinici soprattutto in età avanzata, potrebbe essere condizionata proprio dalla lunga esposizione delle vie respiratorie alle Pm10 – conclude la dottoressa Petricca – non è una ipotesi ma una realtà scientifica”.
Una tesi che trova un altro autorevole riscontro a livello europeo, come ci ha segnalato la pneumologa frusinate. Infatti l’Epha, acronimo di Alleanza Europea per la Salute Pubblica, ha scoperto che da uno studio del 2003 sulle vittime della Sars, i pazienti di regioni con i livelli più alti di inquinamento atmosferico avevano l’84% di probabilità in più di morire rispetto a quelle di aree con basso inquinamento. Questo è probabilmente anche il caso del Covid-19.
Autore: Medici Ambiente
Fonte: Ciociaria Oggi – 20/03/2020